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Trade Wars. Trump sta vincendo?

Trade Wars. Trump sta vincendo?

Il 45° Presidente degli Stati Uniti d’America ha vinto le elezioni promettendo di affrontare due emergenze nazionali. Immigrazione e deindustrializzazione.

Se sul terreno dell’Immigrazione la sua battaglia per il Grande Muro al confine con il Messico ha trovato e trova la fiera resistenza dell’opposizione democratica sulla politica economica e la lotta alla deindustrializzazione, di cui sarebbe colpevole l’elevato deficit commerciale, l’inquilino di Pennsylvania Avenue ha sino ad ora avuto carta bianca.

La linea è stata chiara sin dall’inizio: riequilibrare il deficit commerciale rimettendo in discussione tutti gli accordi di libero scambio commerciale con i principali player internazionali anche attraverso l’uso dei Dazi. Aprire la stagione delle Trade War.

In primis l’uscita da subito senza se e senza ma dal TPP, l’accordo di libero scambio nell’area del Pacifico.

Subito dopo la rinegoziazione dell’accordo di libero scambio nord americano, il NAFTA, con momenti di tensione con Messico e Canada oltre i limiti della tradizione diplomatica fino all’umiliazione dei partner di ieri.

Quindi il braccio di ferro con la Cina, rea di manipolare il valore dello Yuan al fine di ottenere surplus commerciali mostruosi e quindi di accumulare ingenti riserve in valuta straniera, e l’UE e la Germania soprattutto, ree allo stesso modo di manipolare un Euro sottovalutato chiudendosi all’importazione di interi comparti di merci americane, in primis alimentari, tra l’altro giovandosi di una sottoesposizione alle spese militari richieste per la partecipazione alla NATO.

Tale linea di politica economica, unita al pesante taglio fiscale promesso e realizzato avrebbe dovuto permettere un rilancio dell’economia reale a danno dell’industria finanziaria colpevolizzata per aver creato negli ultimi dieci anni uno squilibrio sociale senza precedenti nella storia economica degli USA e per questa via il riequilibrio della bilancia dei pagamenti commerciali.

Il fatto è però che secondo i recenti dati pubblicati dal Dipartimento del Commercio il deficit commerciale degli Stati  Uniti invece di scendere è salito ai massimi da dieci anni a questa parte. Nel 2018 il saldo negativo tra export Usa e import è salito a 891,3 miliardi di dollari per i prodotti, rispetto agli 807,5 miliardi dell’anno precedente, con un incremento percentuale del 12,5% ed è difficile non imputare la innegabile ripresa dell’economia reale americana unicamente al taglio fiscale.

Il pensiero che applicando dazi su alluminio e acciaio si sarebbe ridotto il deficit si è rivelato una pia illusione. Infatti il deficit di beni e servizi di una nazione è una derivata dei flussi di investimenti in entrata e in uscita ed i flussi sono conseguenti a quanto i cittadini  risparmiano e investono. Tali variabili macroeconomiche di risparmio e investimento sono influenzate solo indirettamente dalla politica commerciale.

La manovra fiscale espansiva di Trump, oltre ad aumentare deficit e debito, sta aumentando la crescita del Pil e per questa via le importazioni, giacché a fronte del buon andamento dell’economia, i cittadini americani comprano più beni provenienti dall’estero, vanificando così l’operazione Dazi.

Trump sta perdendo la “sua” Trade War con una politica economica contraddittoria e fondata sull’assunto errato che l’elevato deficit commerciali riduce il pil pro-capite.

Non può non rilevarsi infatti che una salutare dose di realismo dovrebbe far riflettere la Casa Bianca sulla circostanza di fatto che l’ultimo avanzo commerciale statunitense risale al 1976 e non può dirsi certo che a partire da quella data il prodotto interno lordo pro-capite non sia aumentato in modo più che apprezzabile negli USA.

Hanno davvero senso le Trade War di Trump? La presidenza Trump non è nuova ad improvvisi cambi di rotta,  e visti i risultati è auspicabile per il bene degli USA e dell’equilibrio economico mondiale che le sue Trade War finiscano in soffitta, magari sommerse dal rumore delle fanfare di un accordo commerciale di facciata con la Cina.

 

Giampiero RicciUS-trade-deficit

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Redazione Il Secolo d'Italia del Lunedì