La diffusione del radicalismo islamico, in particolar modo del Wahabismo, del Salafismo e del Takfirismo (correnti del Sunnismo) è data da diversi fattori tra i quali il più importante è certamente la disponibilità di tanto denaro da investire.
Lo stesso vale per il terrorismo: azioni di tale riprovevole genere devono avere dietro dei finanziamenti.
Importante diventa capire non solo come questi soldi arrivano ma anche quanto è possibile scovarli e bloccarli.
Per fare ciò bisogna innanzitutto distinguere il finanziamento dal riciclaggio e puntare gli occhi su quegli enti che fanno da ponte tra i paesi di origine dei flussi di denaro e lo stato che accoglie queste organizzazioni. Spesso è un mondo oscuro e profondo sebbene la facciata sia umana: si parla di ong, di società di comodo, di imprese, di associazioni culturali, di università e di banche.
La finanza islamica e la Shari’ah diventano quindi questioni centrali da affrontare poiché in esse vi sono dei mezzi attraverso i quali far passare tanto denaro che per mano di esperti può non lasciar traccia.
Ogni religione ha le sue valide ragioni per espandersi e possiede dei mezzi per muovere dollari e fare pressioni, però non tutte hanno in sé una parte di radicalismo “medievale” e deviato che arriva ad usare le bombe, i mitra o i coltelli per punire e questo è un dato di fatto. Altra nota dolente, la religione nella quasi totalità dei casi di sconvolgimento è una scusa e una leva: in realtà gli interessi sono economici, politici e geo-strategici.
Al fine di analizzare questi processi, prima di verificare la situazione in Italia, bisogna partire da un punto di paragone negativo per eccellenza, dove tali dinamiche sono purtroppo ben avanzate: il Kosovo. E’ d’obbligo una breve panoramica sulle condizioni di questo paese.
La Provincia Autonoma (in base alla Risoluzione Onu 1244) è a un’ora e mezza / due di volo dall’Italia eppure presenta delle enormi problematicità.
Qui gli “internazionali” hanno costruito la forma di uno “stato” ma manca la sostanza per i mille motivi analizzati non poche volte nelle pagine di questo giornale; di fatto non esiste uno stato di diritto.
Generalizzando, la classe dirigente, coloro che amministrano, coloro che sono nella Kosovo Police e in tutti quegli organi volti alla sicurezza, sono stati arruolati dalle file dell’UCK (perché per fare questo Stato da qualche parte bisognava iniziare).
Grazie a dettagliate indagini si è dimostrato che durante la guerra i vari gruppi dell’Uck si sono spartiti territori e guadagni provenienti dai peggiori traffici: droga, prostituzione, contrabbando di sigarette, esseri umani e organi. Senza entrare nel particolare, personalità di spicco che rappresentano questo paese sono coinvolte in processi per tali crimini.
Per cui ha senso ragionevole e fondato sospettare di corruzione e affiliazione diretta alla rete malavitosa coloro che per eccellenza non dovrebbero esserlo.
Tra droga (eroina proveniente dall’Afghanistan), clan, corruzione, testimoni che scompaiono, intimidazioni e minacce, sviluppo economico pari a zero, il radicalismo islamico qui è una piaga.
In Kosovo ci sono moltissime ONG islamiche e le moschee sono quasi tutte finanziate dall’Arabia
Saudita, paese wahabita che ha i suoi ormai noti e oscuri coinvolgimenti destabilizzanti nel Grande Medioriente, tra Isis, armi, gas e Sciismo.
Si stima che le Ong Islamiche in Kosovo siano state in grado di reclutare più di un migliaio di estremisti. Alcune organizzazioni che costruiscono moschee (dove si predica quasi sempre liberamente il radicalismo wahabita e salafita), ospedali e si occupano della scolarizzazione di giovani musulmani, attraverso anche corsi di computer e lingua inglese, hanno collegamenti dimostrati con estremisti ed organizzazioni terroristiche. Alcune di esse hanno o hanno avuto la funzione di “raccoglitori”, cassa di risonanza e reclutamento per il terrorismo di Al Qaeda e Isis.
Molti ragazzi kosovari albanesi, ogni anno circa 200, ricevono un’istruzione in Arabia Saudita; le spese per il loro mantenimento vengono coperte dal governo saudita.
La madre di tutte le Ong arabe che promuove il fondamentalismo islamico e il radicalismo è il “Saudi Committee for United Aid”; il suo quartier generale si trova a Riad In Arabia Saudita e in Kosovo c’è una sua succursale.
Tutte le fondazioni saudite sono dirette dal quartier generale del “Saudi Relief Committee” (con sede a Riad); il compito di tale comitato è quello di coordinare il lavoro di tutte le organizzazioni non governative sparse sul territorio della ex Jugoslavia, finalizzate alla diffusione dell’ideologia wahabita.
Da tempo, almeno da prima del 2011, la Saudi Committee for United Aid paga in Kosovo famiglie intere (circa 500€ al mese) affinché anche solo nel vestire si mostrino vicine al modo di presentarsi tipico del mondo Saudita/Talebano: per gli uomini pantaloni corti alla caviglia e barbe lunghe e per le donne addirittura il burqa. Il grosso delle sue attività include quindi l’aiuto nel sociale solo di facciata, ma in realtà spinge per la promozione dell’Islam fondamentalista e il reclutamento.
Tutto viene eseguito tramite donazioni umanitarie di copertura.
Altra temibile ong è l’associazione “International Islamic Relief” (IIRO) fondata dal cognato di Osama Bin Laden (come si possa lasciar entrare nel proprio Stato una tale organizzazione non è dato sapere) che riceve ingenti donazioni tramite la “zakat”.
Mille altre ong di tal genere ci sono in Kosovo e allora, il nodo centrale da focalizzare è: quanto è difficile capire se un flusso di denaro è davvero per fini umanitari o per fini di reclutamento, radicalismo e terrorismo? Come arrivano e come si fermano questi finanziamenti?
La risposta è oggettivamente complicata, sia perché sono difficili le situazioni in cui si opera e sia perché è chiaro che se da una parte sveli il modus operandi di chi contrasta, dall’altra c’è chi si evolve nel crimine.
Intanto, si possono fare alcune considerazioni di non poca importanza: una famiglia che vive di stenti in Kosovo non denuncerà probabilmente mai una manipolazione ideologica in atto se a fine mese entrano 500€ laddove lo stipendio medio si aggira sui 300/400€. Il problema è che il Kosovo è un’area depressa, è un cuscinetto della Comunità Internazionale dove confluiscono le piaghe dell’Occidente e del Medioriente, ha un’economia pari a 0 e già questo fa percepire la potenziale possibilità di diffusione esponenziale del radicalismo.
Gli organismi internazionali presenti sul territorio, vedi la KFOR, Eulex aiutano soprattutto economicamente le istituzioni di uno stato che senza di essi non esisterebbe, cadrebbe, ma la piccola famiglia, il singolo individuo sono sostenuti dalle Ong, da questi enti caritatevoli, perché la povertà è diffusa. Quindi le organizzazioni cariche di soldi servono ed è difficile socialmente e idealmente scardinarle.
Inoltre la rete di assistenza e carità prevista nella finanza islamica è caratterizzata da gruppi non estesi, chiusi e certamente determinati da una fortissima componente religiosa nei quali è molto difficile penetrare e infiltrarsi e ciò si adatta bene anche alla costituzione stessa della criminalità organizzata sul territorio (diffusa in tal modo un poco meno in città): clan chiusi legati da parentele.
A questo punto entra in gioco la finanza islamica e qui il sistema bancario occidentale non c’entra nulla.