Ogni attentato a Istanbul e in Turchia, quando mancano le rivendicazioni e anche quando ci sono, diventa un fitto mistero.
La dietrologia è all’ordine del giorno ed Edogan ne è uno specialista. Egli ha rinfocolato la conflittualità da tempo latente contro il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) e ordinato negli ultimi mesi al suo esercito di bombardare indiscriminatamente le città curde nel sud-est del paese. Nell’ottica del progetto neo-ottomano di Erdogan, i curdi rappresentano un ostacolo ben più rilevante di quanto farebbe pensare la semplice analisi della dimensione della loro popolazione, delle risorse e delle forze che sono in grado di dispiegare sul terreno i variegati gruppi militari facenti riferimento alla loro etnia.
Disseminata tra Turchia, Iran, Iraq e Siria, la più grande nazione senza stato del pianeta (25 milioni di persone) è infatti depositaria di una cultura di lotta politica, ambizione all’indipendenza che stride con le velleità di Ankara di centralizzare e compattare le componenti del suo dominio per realizzare un progetto a cui è molto più funzionale lo sfruttamento delle tradizionali frizioni etniche, tribali e sociali che animano il Medio Oriente. Erdogan sembra dunque aver sviluppato di conseguenza un certo grado di insofferenza e timore verso i curdi, divenuti bersaglio di primo piano.
Le violenze indiscriminate cui è sottoposta la popolazione curda avvengono nell’ indifferenza totale, di fronte alla cinica freddezza di una comunità internazionale che sa benissimo quanto stia accadendo a Diyarbakir e nelle altre città del Kurdistan eppure tace. Erdogan ha imposto tutto il peso della rilevanza geopolitica della Turchia, conquistandosi una certa libertà d’azione. Il rinnovato attivismo del PKK ha incrementato l’impiego delle forze turche nella regione, aumentando le missioni di bombardamento e attacco al suolo nel confine tra Siria, Turchia e Iraq.
La tattica di logoramento messa in atto dal PKK, che prosegue a colpire ripetutamente le guarnigioni militari e le forze di sicurezza dispiegate da Ankara con imboscate, attacchi asimmetrici e attentati dinamitardi, ha sinora riscosso successi solo marginali.
Le differenze tra il PKK e le formazioni ben più organizzate dei Peshmerga curdo-iracheni sono notevoli, così come la direzione principale degli sforzi, che nel caso di questi ultimi si sono sempre rivolte verso il contrasto delle formazioni miliziane islamiste e dell’ISIS nel centro dell’Iraq. Le contrapposizioni politiche tra i curdi del Rojava e i curdo-iracheni sono state indirettamente sfruttate da Erdogan.
I conflitto asimmetrico tra l’esercito turco e i gruppi insurrezionali curdi sta assumendo la dimensione di vera e propria guerra civile come dimostra il coinvolgimento della popolazione civile nelle violenze incrociate che da quasi un anno martoriano le città del Kurdistan turco.
Oramai, i morti di un conflitto partito come guerra a bassa intensità e pian piano accresciutosi con un processo di autoalimentazione superano le 6000 unità tra soldati turchi, miliziani curdi e civili uccisi. Erdogan è riuscito a occultare la questione e la situazione delle forze in campo, in questi mesi sembra essere improntata a un sostanziale scacco reciproco tra esercito turco e miliziani curdi: il primo continua a mantenere una forza offensiva significativa, di certo non molto scalfita dalle perdite notevoli che il PKK gli ha imposto con le sue sortite.
Proprio riguardo alla questione curda si possono rilevare tutte le caratteristiche principali che contraddistinguono la progressiva deriva autoritaria di Erdogan. Un regime sempre più autocratico sta emergendo senza mezzi termini. Spicca la decisione recente di privare dell’immunità parlamentare i deputati turchi con cui il capo del governo punta a mettere completamente a tacere la voce di dissenso rappresentata dall’HDP e dalle forze politiche che si raccolgono attorno ad esso.
Erdogan spera ardentemente di poter fondare al termine delle sue guerre private contro gli oppositori interni e quelle contro i nemici esterno una versione aggiornata dell’Impero Ottomano. Ciò potra certamente avvenire se l’Occidente fallirà definitivamente nel proprio tentativo di assimilare la Turchia, o peggio continuerà per ragioni di mero calcolo a disinteressarsi del problema costituito da Ankara.