La destra arranca un po’ ovunque e l’esperimento Fratelli d’Italia – Lega a Roma cede, con onore ma cede. Il segnale è che con il tramonto di Forza Italia e del berlusconismo costruire attorno a Salvini uno schieramento alternativo a Renzi non sembra la via maestra per futuri successi. Tuttavia Sparta non ride, anzi si lecca le ferite.
Tutte le principali città vanno al ballottaggio, eccetto Cagliari. A Roma, come da previsioni, si è piazzata davanti a tutti la candidata del M5S Raggi, che tra due settimane affronterà al ballottaggio il piddino Giachetti. Testa a testa anche a Milano tra il candidato del centrosinistra, Sala, e quello del centrodestra, Parisi. Non riescono a passare al primo turno acclamati sindaci uscenti quali Fassino a Torino e De Magistris a Napoli: se la dovranno vedere al ballottaggio rispettivamente con la candidata del M5S Appendino e con il portacolori del centrodestra Lettieri, entrambi finiti a distanze siderali. Ha del clamoroso l’esclusione dal ballottaggio nel capoluogo campano della candidata renziana Valente. Anche a Bologna ci sarà ballottaggio. Il sindaco uscente del PD Merola se la dovrà vedere in seconda battuta con Bergonzoni della Lega, praticamente doppiata nei consensi. Insomma, destra e sinistra non funzionano come dovrebbero. Viaggiano a tre cilindri per diverse ragioni. Il PD, cannibalizzato da Renzi, è volubile nei consensi proprio perché legato mani e piedi alla figura del suo premier. Tutto il centrodestra, orfano di Berlusconi è in una fase di ricostruzione difficile e deve ritrovare equilibri, progettualità e credibilità. Di qui l’exploit del M5S che si afferma a Roma (con Raggi davanti al piddino Giachetti) e Torino (dietro il PD di Fassino) ma nel resto d’Italia e delle grandi città in primis non replica i successi. Anzi, crolla miseramente a Milano con un misero 10% per il suo candidato Corrado, si attesta a Napoli su un povero 9% con Brambilla ed è out a Bologna, Trieste e Cagliari, dove si è imposto il piddino Zedda al primo turno dopo aver sfondato il muro del 50%.
Con Meloni fuori, nel centrodestra si apre il braccio di ferro interno. Quest’ultimo era in realtà già di pubblico dominio. In tv si sono viste scintille tra esponenti di FdI e di Forza Italia. Coi primi – ormai sciolti da vincoli d’alleanza ultradecennali, risentiti per la mancata volontà dei moderati di far fronte comune (sostenendo Meloni) contro il grillismo e il PD – che han preso a farsi la guerra coi secondi e non solo. Difatti lo scontro ha visto protagonisti ulteriori frazioni della destra ormai ridotta a un colabrodo (si pensi alla Lista Storace, Forza Nuova e Casapound), ognuno con un proprio candidato. In pratica la destra – centrodestra se volete – è diventato la sinistra. Il partito di riferimento è divenuto la Lega che di nazionale fino a ieri l’atro ha avuto ben poco. E proprio il leader del Carroccio Salvini ha ribadito l’ovvietà che l’errore di base è stato di Berlusconi. Il quale dopo aver scaricato Bertolaso ha scelto di appoggiare Marchini, finito ben 25 punti sotto Raggi. Avessero appoggiato Meloni avrebbero ottenuto di certo il ballottaggio.
Un aspetto da considerare – oltre al fatto che si è comunque trattato di elezioni amministrative, per cui sono in gioco altri fattori quali il radicamento sul territorio e l’apprezzamento o meno dei vari candidati – è quello relativo all’affluenza. Il dato finale parla di un 62,14% di aventi diritto recatisi alle urne. Il dato è nettamente più basso di quello di cinque anni fa, quando si era registrata una percentuale di votanti pari al 72,59%. Ha senz’altro avuto un peso il «ponte» vacanziero del 2 giugno. E probabilmente i partiti di destra e quelli più moderati di centrodestra e centrosinistra non ne sono stati favoriti.